Gesù amava le vigne: le ha raccontate, per sei volte, come parabole del regno; vi ha letto un simbolo forte e dolce (io sono la vite e voi i tralci, Gv 15,5); al Padre ha dato nome e figura di vignaiolo (io sono la vite vera e il Padre è l’agricoltore, Gv 15,1). Ma oggi il Vangelo racconta di una vendemmia di sangue. Una parabola dura, che vorremmo non aver ascoltato, cupa, con personaggi cattivi, feroci quasi, e questo perché la realtà attorno a Gesù si è fatta cattiva: sta parlando a chi prepara la sua morte. L’orizzonte di amarezza e violenza verso cui cammina la parabola è già evidente nelle parole dei vignaioli, insensate e brutali: Costui è l’erede, venite, uccidiamolo e avremo noi l’eredità!

Ma quale manuale di diritto civile hanno mai letto? È chiaro che non è il diritto ad ispirarli, ma quella forza primordiale e brutale, originaria e stupida, che in noi sussurra: devi sopraffare l’altro, occupa il suo posto, e allora avrai il suo campo, la sua casa, la sua donna, i suoi soldi. Quanto è diverso Dio, che ricomincia, dopo ogni tradimento, a mandare ancora servitori, altri profeti, infine suo Figlio; che non è mai a corto di sorprese e di speranza: che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna, che io non abbia fatto? Io, noi siamo vigna e delusione di Dio, e lui, contadino appassionato, continua a fare per me ciò che nessuno farà mai. Fino alla svolta del racconto: alla fine, che cosa farà il signore della vigna? La soluzione proposta dai capi del popolo è tragica: uccidere ancora, far fuori i vignaioli disonesti, sistemare le cose mettendo in campo un di più di violenza.

Vendetta, morte, il fuoco dal cielo. Ma non succederà così. Questo non è il volto, ma la maschera di Dio. Infatti Gesù introduce la novità propria del Vangelo: la storia di amore e tradimenti tra uomo e Dio non si concluderà con un fallimento, ma con una vigna viva e una ripartenza fiduciosa: Perciò io vi dico: il regno di Dio sarà dato a un popolo che ne produca i frutti.

Trovo in queste parole un grande conforto: sento che i miei dubbi, i miei peccati, le mie sterilità non bloccano la storia di Dio; quel suo sogno di buon vino comunque avanza, niente lo arresta.

La vigna darà il suo frutto, perché c’è ancora chi saprà difenderla e farla fruttificare.

Ci sono, stanno sorgendo, nascono dovunque, e lui sa vederli, vignaioli bravi che custodiscono la vigna anziché depredarla, che servono l’umanità anziché servirsene. I custodi della fecondità. Nella vigna di Dio è il bene che revoca il male. La vendemmia di domani sarà più importante del tradimento di ieri. I grappoli gonfi di succo e di sole riscatteranno anche la sterilità di questi nostri inverni in ansia di luce.                                    

P. Ermes Ronchi

Nella vigna del Signore il bene revoca il male